Come dormiva sti ani le fameie numerose
di Via Volpato
Il nostro carro rappresenta un momento particolare della vita quotidiana dei nostri antenati: la sera e la notte. Dopo una giornata di duro lavoro, le famiglie si concedevano il meritato riposo e si preparavano per dormire. Spesso grandi e piccoli dormivano nella stessa stanza, e addirittura nello stesso letto di tavole di legno. Dopo le preghiere, gli adulti raccontavano fiabe ai bambini. Si mettevano incrociati dalla testiera e dai piedi del letto, tanto stretti da sembrare sardine in scatola.
Il materasso, pajón, era coperto da sacchi di yuta dopo essere serviti per trasportare fieno. Paglia o foglie secche delle pannocchie di mais riempivano il materasso, che risultava poco soffice; lenzuola di stoffa grezza e ruvida, non rappresentavano un ambiente comodo e accogliente per la notte. Si usavano scaldaletto del passato (mùneghe, fogàre), coperte di lana fatte a mano e copriletto, spesso prezioso dono portato in dote dalla donna di casa.
Anche le camicie da notte erano di stoffa grezza, i mutandoni femminili erano adornati da pizzi; donne e bambine indossavano cuffiette da notte, gli uomini berretti di lana. Ai piedi calzettoni di lana rigorosamente fatti a mano ai ferri, per combattere le rigide temperature invernali.
Di mattina, attraverso appositi spazi sul coprimaterasso, le donne sistemavano il materasso stesso, svuotavano i vasi da notte, cambiavano l’acqua dei catini, sistemavano la stanza.
Il carro è dunque una ricostruzione fedele di una stanza da letto matrimoniale, con tutte le suppellettili: letto con cassapanca per vestiti e biancheria ai suoi piedi; comodini per i vasi da notte in latta smaltata; lampade a olio (canfìni); quadro della sacra famiglia; acquasantiere; corona del rosario; libro delle preghiere; foto dei capostipiti; un paio di sedie; specchio; portacatino con catino, brocca, sapone, asciugamano per l’igiene personale.
Come dormiva sti ani le fameje numerose
Le fameje de sti ani sempre numerose
dormiva in camare povere ma dignitose.
I nava dentro tuti insieme in ‘nton leto de tòle:
dopo le preghiere i grandi contava ai picoli le fòle…
On pochi dala parte dei pìe e on pochi pa la testa
streti e incroxà
i jera mesi propio come sardine inscatolà!
El stramasso, che anca pajón vegneva ciamà,
el xera querto da sachi de terlisa recuperà:
dentro ‘ntel saco ghe stava la paja inmucià
ma anca i scartòssi de sorgo vegneva doprà.
Tanto sofice no’l xera sto stramasso
ma gnanca i nissói: de canevo, ruspiosi, duri come sasso!
Par scaldarse dal gran fredo se doprava
muneghe e fogare, che on poco el leto le scaldava
E po’ querte fate a man co lana de piegora
e se sontava anca on coprileto da dota trato par sora.
Ala matina, traverso i busi fati soi stramassi,
le done, co man sapienti, goernava pajón e scartossi,
svodava i pitari ‘ntela lunga note freda impienà
canbiava l’aqua nei cadini che par lavarse
vegneva doprà.
Dopo, nei comodini le rimeteva i pitari netà
e la fameja se preparava par la jornata pena scomisià…
Manuela Santagiuliana